Autori: 66 | Articoli: 264

 

Accedi Diventa un autore!

Login

Username *
Password *
Ricordami

Registrati

I campi contrassegnati con (*) sono obbligatori.
Nome e cognome *
Username *
Password *
Verifica password *
Email *
Verifica email *
Captcha *

Chi siamoWhere  |  L'ideale  |  GovernanceVision  |  Partner  | Autori  

libreria economia

13 Mag 2016

Start-up: in Italia non è un business per giovani

Scritto da

Da qualche anno si sente ormai parlare sempre più di start up, le piccole imprese in fase di costituzione che sono sparse per tutto il mondo. Il termine significa “partire, mettersi in moto”, ed è proprio a questa fase della vita delle imprese che si rivolge questa denominazione. Infatti nella new economy la start-up è quella azienda, di solito di piccole dimensioni, che si lancia sul mercato sull'onda di un'idea innovativa, specialmente nel campo delle nuove tecnologie. E per questo molto in voga negli ultimi anni.

Strutturalmente, in Italia il business delle start up è diviso molto chiaramente: in testa si trova quello riguardante i servizi di informatica e software, con il 42% delle imprese. Seguono quelle riguardanti servizi di ricerca e sviluppo, attività professionali e tecniche con il 28%, mentre solo 18% per il settore dell’industria e costruzioni. Nonostante questo, però, il valore aggiunto che le start up apportano all’occupazione italiana resterebbe scarso.

sturt up

Perché le start up?
Nel caso italiano, i vantaggi delle start up sono tanti e curati sin dal 2012 tramite il “decreto crescita”.

  • In primo luogo, possono avere spese ridotte: non sono soggette al pagamento di oneri come il diritto annuale alla Camera di Commercio, oltre che l’imposta di bollo ed i diritti di segreteria per l’iscrizione al Registro delle Imprese (in quanto ne è previsto uno ad hoc per le start up).
  • Godono di detrazioni fiscali: l’Irpef può essere detratta fino al 25% mentre l’Ires fino ad un massimo del 27%
  • Possiedono, viste le grandi possibilità di detrazioni fiscali, una maggiore probabilità di ottenere finanziamenti ed investimenti nazionali ed internazionali.

Va aggiunto inoltre che in ambito accademico è riservata parecchia attenzione a questo tipo di business: molte tra le migliori Scuole di Economia italiane, infatti, organizzano periodicamente eventi per creare un ambiente in cui si possano formare dei “team” di sviluppo delle idee sotto forma di start up (vedi, per es., Start up Day Unibo e Uni Bocconi).
Anche per questi fattori, l’Italia ad oggi seconda solo all’Olanda tra i Paesi migliori in cui sviluppare una start up. Lo sostiene una classificata stilata nel rapporto 2016 dell’European Digital Forum. Questo risultato ha dell’incredibile per una nazione che della lentezza e difficoltà burocratica ha sempre fatto una prerogativa, ma per quanto concerne le start up innovative il discorso è (stranamente) diverso.

Chi sono gli startupper?
Per quanto la classica retorica sostenga il contrario, in Italia le start up non sono un business per giovani. Secondo un’indagine del Ministero dello Sviluppo economico si evince come le imprese giovanili (Under 35) presenti al registro delle start up siano meno del 25%, mentre più alta è la percentuale se si considera almeno un giovane tra i soci o gli organi amministrativi (41%). Queste percentuali fanno emergere un fenomeno, quello dei “senior startupper”, molto in voga in Italia: sarebbero quindi questi personaggi, nella maggior parte compresi tra i 30 e i 49 anni (2 imprenditori su tre, secondo una ricerca di Sturt up Italia, 2015) , gli ideatori della maggior parte delle start up presenti sul nostro territorio . Ma va evidenziato accuratamente un altro fenomeno: secondo un’indagine condotta dal Politecnico di Milano i fondatori delle startup possiedono un grado di istruzione elevato (il 37% ha conseguito un titolo di dottorato di ricerca), prevalentemente in ambito tecnico e, in media, hanno già maturato una considerevole esperienza lavorativa in ambiti affini a quello della startup e specie in ambiti manageriali, in media 11 anni. D’altronde, si evince come anche dai dati forniti dal Ministero questa relazione è confermata, in quanto la distribuzione territoriale delle start up in rapporto alle imprese attive riflette in parte la distribuzione territoriale di laureati tra i 20 e i 29 anni.

italia sturt up

Le start up e il loro impatto sull’occupazione: 
Un ulteriore elemento di forte ambiguità riguardante le start up è quello legato alla loro forza occupazionale. È fuori di dubbio che le start up siano un’ottima opportunità per avviare un business di successo, ma come dimostrano l’esperienza e il grado di istruzione richiesti per avviare con successo una start up la loro forza è limitata. Esse non saranno mai, contrariamente a ciò che si può pensare, una risposta definitiva a tematiche importanti come la disoccupazione giovanile. Come dimostrano i dati del ministero, le start up hanno in media solo 2,9 dipendenti, mentre la crescita delle piccole imprese si è bruscamente rallentata (111,2 % fine Dicembre 2014; 34,8% Giugno 2015; 5,8% fine Marzo 2016). Anche per queste motivazioni, la cura delle start up è al più uno strumento e non la strategia per combattere una piaga come la disoccupazione. La grande sfida italiana è quella di applicare strumenti simili a quelli utilizzati per le start up anche all’imprenditoria in generale, in modo tale da far tornare a crescere un paese dalle grandi opportunità come l’Italia.

Fonti:

www.startup.registroimprese.it  

www.ilsole24ore.com  

www.linkiesta.it  

www.pmi.it

www.sviluppoeconomico.gov.it

Sergio Inferrera

Messinese, iscritto al corso di laurea in Economia all'Alma Mater Studiorum di Bologna, appassionato al mondo della politica, dell'economia e dello sport

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

inglese francese  spagnola  tedesca  portoghese  norvegese  albanese  mandarino  cantonese  giapponese  arabo  russia  coreasud  coreanord
Chi siamo | Autori