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libreria giurisprudenza

25 Lug 2016

Arriva il referendum costituzionale: come, quando e perchè

Scritto da

Nel mese di ottobre gli elettori saranno chiamati a pronunciarsi sul progetto di revisione costituzionale elaborato dal Governo Renzi e approvato definitivamente dalle Camere a metà aprile.
Il referendum costituzionale è uno strumento di democrazia diretta, che rappresenta una fase meramente eventuale del procedimento di revisione costituzionale, avendo luogo solo se, durante la seconda deliberazione, la legge di revisione costituzionale viene approvata con la maggioranza assoluta dei componenti.

Tale consultazione popolare, disciplinata dall’art. 138 della Costituzione e dalla legge ordinaria 25 maggio 1970, n. 352, è stata concepita dal Costituente come uno strumento di natura oppositiva nei confronti della maggioranza parlamentare, inteso a garantire e tutelare le minoranze. Occorre, infatti, ricordare che la richiesta referendaria può essere presentata anche da 1/5 dei membri di ciascuna Camera, a differenza di quanto previsto, invece, per il referendum abrogativo (art. 75 Cost.), che può essere chiesto solo da 500.000 elettori o da 5 Consigli regionali.
Prima che gli elettori si rechino alle urne, interviene l’Ufficio centrale per il referendum, un organo costituito presso la Suprema Corte di cassazione e composto dai tre presidenti di sezione più anziani della Cassazione, nonché dai tre consiglieri più anziani di ciascuna sezione. Esso svolge un ruolo fondamentale, essendo deputato a verificare la legittimità della richiesta referendaria, ossia la sua conformità all’art. 138 Cost. e alla legge.

L’Ufficio centrale si pronuncia, con ordinanza, entro trenta giorni dalla presentazione del quesito. L’ordinanza che decide sulla legittimità della richiesta viene comunicata immediatamente al Presidente della Repubblica, ai Presidenti delle Camere, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Presidente della Corte costituzionale.
Qualora l’Ufficio centrale dichiari la legittimità della richiesta e, dunque, ammetta il referendum, spetta al Presidente della Repubblica il compito di indire la consultazione popolare, entro sessanta giorni dalla comunicazione della predetta ordinanza.
La data in cui si svolge il referendum è fissata in una domenica compresa tra il 50° e il 70° giorno successivo all’emanazione del decreto di indizione. La votazione per il referendum si svolge a suffragio universale con voto diretto, libero e segreto.

La legge di revisione costituzionale si considera approvata se il numero dei voti favorevoli supera il numero dei voti contrari: in questo caso, essa viene promulgata dal Presidente della Repubblica.
Il referendum costituzionale è un giudizio popolare di tipo confermativo, poiché l’elettore è posto dinanzi ad un’alternativa secca: approvare (votare Sì) o non approvare (votare No) la legge di revisione costituzionale votata dalle Camere. Fondamentale diventa allora il quesito, cioè la domanda rivolta ai cittadini sulla quale dovranno esprimere la loro opinione.
In primo luogo, occorre evidenziare che il quesito da sottoporre al voto popolare consiste nella seguente formula: «Approvate il testo della legge costituzionale ... concernente ... approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale numero ... del ... ?».
Se questa è la formulazione del quesito, è necessario comprendere se, dal punto di vista sostanziale, sia richiesto qualche ulteriore requisito: occorre, cioè, stabilire se la domanda debba rispettare o meno il criterio della omogeneità. Parte della dottrina sostiene, infatti, la tesi della necessaria omogeneità dell’oggetto del referendum, requisito che la giurisprudenza costituzionale ha richiesto ai fini dell’ammissibilità del referendum abrogativo (art. 75 Cost.). Il carattere di omogeneità, valevole – secondo tali autori – per ogni consultazione referendaria di natura non plebiscitaria, imporrebbe di impiegare il procedimento di revisione costituzionale solo per riforme di tipo puntuale e specifico, o – quantomeno – ad oggetto circoscritto. Si tratterebbe, cioè, di un esercizio frazionato del potere di richiedere il referendum costituzionale da parte dei promotori, che dovrebbe stimolare una maggiore attenzione e ponderazione da parte degli elettori (teoricamente sollecitati a ragionare su ogni singolo quesito) così da scongiurare l’effetto di trascinamento potenzialmente innescabile dalla votazione di un quesito che insista sull’intero progetto di riforma.

In senso contrario, è stato affermato che la ratio del referendum costituzionale sarebbe proprio quella di chiedere al popolo di esaminare la proposta di revisione nel suo complessivo significato funzionale. La richiesta referendaria imporrebbe, dunque, la sussistenza di una matrice razionalmente unitaria del tessuto normativo su cui il corpo elettorale è chiamato a pronunciarsi. Diversamente, − affermano i sostenitori della tesi dell’omogeneità − i rischi sottesi all’ipotesi di un referendum parziale o di referendum plurimi sarebbero quelli di aumentare il carattere plebiscitario della consultazione, nonché di determinare un esito finale della votazione per così dire incongruente, che restituisce cioè una “normativa di risulta” mal coordinata, lacunosa, se non addirittura internamente contraddittoria.

Spostandoci, ora, sul piano pratico, occorre fare chiarezza sul contenuto dell’attuale referendum costituzionale, che modifica in modo significativo molte parti del testo costituzionale.
Come noto, il 12 aprile 2016 la Camera dei Deputati ha dato il via libera alla riforma costituzionale con 361 voti a favore e 7 voti contrari, pari a circa il 57% dei deputati. Al Senato, nella seconda votazione del 20 gennaio 2016, la riforma era stata approvata con 180 voti favorevoli e 112 contrari, pari a circa il 57% dei senatori. La richiesta referendaria è stata tempestivamente presentata da due diverse forze politiche: l’opposizione (Movimento 5 Stelle, Forza Italia, Lega Nord e Sinistra Italiana), che ha depositato le firme di 166 deputati, e la stessa maggioranza parlamentare, che ha raccolto ben 237 firme, posto che, in precedenza, il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si era assunto l’impegno di chiedere la conferma degli elettori, a prescindere dal consenso che la riforma avrebbe ottenuto in Parlamento.

Il referendum sarà la terza consultazione popolare di questo tipo nella storia della Repubblica Italiana, dopo quelle del 2001 e del 2006. La riforma, che modifica ben 53 articoli della Carta costituzionale, può essere scomposta – a fini didascalici – nei seguenti blocchi tematici: fine del bicameralismo perfetto; Senato dei 100; elezione del Presidente della Repubblica; Titolo V; giudizio preventivo sulle leggi elettorali; abolizione del CNEL e delle Province; referendum abrogativo e leggi di iniziativa popolare:

  • Fine del bicameralismo perfetto: solo alla Camera dei Deputati, l’unico organo eletto dai cittadini a suffragio universale diretto, spetta la titolarità del rapporto di fiducia, la funzione di indirizzo politico, nonché la funzione di controllo dell'operato del governo. La funzione legislativa viene esercitata collettivamente dalle due Camere solo in (poche) specifiche materie, tra cui quella costituzionale e quella elettorale. Tutte le altre leggi – ordinarie e di bilancio – vengono approvate esclusivamente dalla Camera: il Senato può, tuttavia, esprimere pareri sui progetti di legge e può proporre modifiche entro trenta giorni dall’approvazione della legge. La funzione principale del Sentato diviene quella di raccordo tra lo Stato, le Regioni e i Comuni.
  • Senato dei 100: il Senato diventa un organo rappresentativo delle istituzioni territoriali (si chiamerà Senato delle Regioni), composto da 100 senatori (invece dei 315 attuali), che non sono eletti direttamente dai cittadini: 95 vengono scelti dai Consigli regionali (21 sindaci e 74 consiglieri regionali), mentre 5 sono nominati dal Presidente della Repubblica e rimangono in carica sette anni.
  • Elezione del Presidente della Repubblica: all’elezione del Presidente della Repubblica non partecipano più i delegati regionali, ma solo le Camere in seduta comune. Le maggioranze richieste sono le seguenti: 2/3 dei componenti dell’Assemblea nei primi tre scrutini; 3/5 dei componenti dell’Assemblea dal quarto al sesto scrutinio; 3/5 dei votanti dal settimo scrutinio in poi.
  • Titolo V della Costituzione: viene soppressa la competenza concorrente Stato-Regioni e le materie vengono ridistribuite tra competenza esclusiva statale e competenze regionale. Si introduce una “clausola di supremazia”, secondo la quale lo Stato, su proposta del Governo, può intervenire su materie non riservate alla propria legislazione esclusiva qualora lo richieda (i) la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica o (ii) la tutela dell’interesse nazionale.
  • Giudizio preventivo sulle leggi elettorali: le leggi che disciplinano l’elezione dei componenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica possono essere sottoposte, prima della loro promulgazione, al giudizio preventivo di legittimità costituzionale. Il ricorso deve essere motivato e può essere proposto da almeno ¼ dei componenti della Camera dei Deputati o da almeno 1/3 dei componenti del Senato della Repubblica, entro il termine di 10 giorni dall’approvazione della legge. La Corte costituzionale deve pronunciarsi entro 30 giorni, durante i quali il termine per la promulgazione della legge rimane sospeso.
  • Abolizione del CNEL e delle Province: la riforma prevede l’abrogazione dell’art. 99 Cost., che disciplina il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL). Si tratta di un organo di rilevanza costituzionale, che detiene il diritto di iniziativa legislativa in materia economica e sociale e che svolge una funzione consultiva del Governo, delle Camere e delle Regioni. Al fine di gestire la liquidazione e la riallocazione del personale presso la Corte dei Conti, è prevista la nomina di un commissario straordinario entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge. Il ddl Boschi dispone, altresì, la soppressione delle Province, nella misura in cui viene eliminato dall’art. 114 Cost. il riferimento ad esse quali enti costituzionalmente necessari, dotati di funzioni amministrative proprie.
  • Referendum abrogativo e leggi d’iniziativa popolare: se i cittadini che propongono il referendum abrogativo sono 800.000, invece che 500.000 (ossia la soglia minima per presentare la richiesta), il quorum strutturale si abbassa, passando dal 50% + 1 degli aventi diritto al 50 % + 1 dei votanti alle ultime elezioni politiche. Invece, per proporre una legge d’iniziativa popolare non saranno più sufficienti 50.000 firme, ma ne serviranno 150.000.

La molteplicità di parti incise dalla riforma costituzionale ha spinto il “fronte del NO” ad avanzare – in un primo momento – una proposta di “spacchettamento”, ossia di scomposizione del quesito in quattro, cinque o sei quesiti distinti, corrispondenti ad altrettante aree tematiche della riforma. L’obiettivo doveva essere quello di ovviare alla affermata disomogeneità e disorganicità del progetto di revisione costituzionale. Tale opzione, sostenuta anche da una parte della dottrina costituzionalistica, oltre che scontrarsi con la storia del referendum costituzionale in Italia, che dal 1947 ad oggi è sempre stato formalizzato in un unico quesito, sembra tuttavia essersi arenata a causa dell’insufficienza delle firme raccolte per la presentazione di quesiti distinti.
Sarà necessario attendere la pronuncia dell’Ufficio centrale per il referendum per conoscere il quesito su cui gli elettori saranno chiamati a votare in autunno.

Maria Mocchegiani

Nata ad Ancona e laureata cum laude all’Unibo con una tesi di procedura civile. E’ stata ammessa al collegio d’eccellenza nel corso dei suoi studi. Collabora con uno studio legale dal 2014 e si occupa del rapporto tra diritto e sapere tecnico-scientifico, con particolare riferimento al ruolo del giudice.

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