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libreria ingegneria

17 Mag 2017

Divinazione e tarocchi: una storia pop

Scritto da

Questo scritto ha lo scopo di mostrare l’origine della divinazione e quanto questa sia inserita nel tessuto del nostro quotidiano. Considerando in particolare le carte dei Tarocchi e nello specifico gli Arcani Maggiori, ho voluto mostrarne la loro versatilità e le possibili varie funzioni e significati, che sono molteplici.

Una storia “pop”, perché popolare sono ora come allora i mazzi di carte, anche se usati con diverse funzioni nelle varie epoche. Molto è il materiale scritto, molte sono le interpretazioni che le singole persone possono dare a questi, così come molti sono gli artisti che hanno messo a disposizione la loro arte per disegnare le lame, dall’antichità, fino ai giorni nostri. Da oggetto in passato perseguitato a strumento visibile ed affascinante di uso quotidiano ad oggetto da collezione e d’arte. Così mettiamo in luce aspetti diversi: il significato intrinseco, psicologico ed archetipico della carta ed uno estetico, quello della sua raffigurazione.

Sta a noi scegliere se restare affascinati dai colori della lama e dai suoi disegni o cercarne significati, più o meno profondi. Chi non crede nel potere degli Arcani o ha paura che una stesa di carte possa influenzare le proprie decisioni, potrà sempre tenere presente un vecchio detto popolare: “le carte sono di cartone”. Anche se queste parlano, siamo liberi di non udirle. L’ignoto: unica costante nel quadro delle nostre esistenze. Vivere significa ogni giorno prendere decisioni e quindi fare previsioni, cioè predire, mantenendo uno sguardo nel presente ed uno nel futuro. Predire è una caratteristica tipica dell’Uomo, dimensione fondamentale nella sua esistenza. Cercare di conoscere il futuro fa presupporre che questo sia conoscibile e quindi così, già determinato e non modificabile. A che cosa servirebbe conoscere qualcosa di già noto? Inutile tormentarsi e dannarsi per qualcosa di notorio. Preannunciare il futuro ha senso solo se questo non è determinato e quindi imprevedibile. In questo caso la previsione è una attività che assume carattere magico, con lo scopo di produrre il futuro da noi desiderato. Se gli Uomini si sono ostinati a perseguire questo scopo è perché il futuro riveste molteplici funzioni, consce ed inconsce, legate alla condizione umana. Lo scopo è quello di eliminare le angosce rispetto all’avvenire, riempiendolo di punti di riferimento.

Anche ai giorni nostri, in cui il tempo presente e futuro sono pianificati all’inverosimile, si sente la necessità di predire gli eventi prima che si producano. In questo caso la previsione porta con sé un potere magico di autorealizzazione, fenomeno conosciuto sul piano psicologico: convincersi di una vittoria è il mezzo migliore per ottenerla. Predire quindi, ha anche il significato di agire: significa fornire i mezzi per arginare eventuali eventi a noi sfavorevoli. Il ruolo di astrologo, cartomante, veggente è sostanzialmente quello di psicologo, psicoanalista, se non confessore. Tramite questo tipo di contatto umano, questi medici dell’anima, spingono i credenti, più interessati al lato salvifico che magico della profezia, ad esaminare la propria condotta, a riflettere. Allora, in un certo modo, predire significa anche guarire. La predizione, mai neutra né passiva, corrisponde sempre ad un desiderio, una intenzione, una paura. In questo senso è rivelatrice della mentalità, della cultura di una civiltà e società. Ripercorrere la storia della predizione è ripercorrere la storia della civiltà. L’Uomo si è da sempre dedicato alla predizione del futuro: l’Uomo preistorico, il primo indovino, disegnando sulle pareti di caverne, compiva con lo stesso disegno un atto magico volto a garantire il successo delle sue gesta. Il dominio del tempo rimane, ora come allora, un’illusione perpetua. “Poiché la tua richiesta è mossa dal desiderio delle cose oneste, diciamoti che Palamede nello assedio di Troia ci trovò.” Così nel testo dell’Aretino le stesse carte, parlanti, spiegano le loro origini ad un interlocutore padovano. “Ai giorni nostri sussiste un’opera degli antichi Egizi sfuggita alle fiamme che hanno distrutto le loro biblioteche, un’opera che contiene la più pura dottrina degli Egizi. Libro tanto prezioso, Libro tanto straordinario è molto diffuso in gran parte dell’Europa, da secoli va per le mani di tutti e nessuno ha mai supposto che questo libro è egizio e il risultato di tanta squisita sapienza viene riguardato come un mazzo di strane figure. Esso è talmente comune che nessun Filosofo lo ha ritenuto degno di essere studiato. Questo libro è composto di 77 o 78 fogli, divisi in cinque classi, ognuna delle quali tratta un argomento specifico. Questo libro è il gioco dei Tarocchi.” Scrivendo così, nel saggio “Il gioco del Tarocco”, George de Gébelin nel 1783 creava uno dei falsi storici più famosi. La leggenda che questi siano parte del perduto libro di Toth, il dio egizio della sapienza occulta, nasce dal fatto che de Gébelin riconobbe nelle figure dei Tarocchi, temi della mitologia egizia.

A distanza di due secoli, alla luce della dottrina degli archetipi, sappiamo che l’immaginario umano è cosparso di figure universali e che le civiltà sono attraversate da strutture psichiche immateriali più che da oggetti concreti. Gli archetipi e non i movimenti di popoli creano reti di connessione nella psiche collettiva. De Gébelin vide nei Tarocchi una via per cui la psiche si rende manifesta attraverso figure arcane, pronta e disposta a rivelarsi, desiderosa di una mente fertile che raccolga la sua manifestazione. Possiamo così pensare ai Tarocchi non solo come gioco di carte, strumento di magia o divinazione, ma come un compendio di immagini simboliche. Accanto alla lettura divinatoria delle carte dei Tarocchi è possibile una lettura psicologica e analitica, che li considera come archetipi della personalità e del suo processo di individuazione.

E’ considerabile che le carte da gioco nascano verso VIII secolo d.C. in Cina, dove furono inventate anche la carta e la stampa. Alla fine del Trecento, in Europa, si hanno numerosi riferimenti alle carte da gioco. In Italia si annota nella Cronaca di Viterbo del 1379 il “gioco delle carte che in saracino parlare si chiama nayb”: naipes è a tutt’oggi il nome spagnolo per le carte da gioco e naibi fu usato come sinonimo di tarocchi. Verso il 1440 alla corte di Filippo Maria Visconti, duca di Milano, si hanno numerose testimonianze di un particolare mazzo di carte “da zugare” chiamato con il nome di trionfi, giunti a noi come i Tarocchi dei Visconti. Il primo mazzo completo giunto a noi è veneto, datato 1461, detto dei Sola-Busca, dai nomi dei loro possessori. Il mazzo più conosciuto è il Tarocco di Marsiglia, fra i più antichi si ricordano quelli di Carlo VI che, per alcuni autori, erano i custodi del segreto del Graal secondo l’eresia albigese. Scrive lo storico Andrea Vitali: “ i Tarocchi sono un gioco italiano formato da 56 carte numerali dette a semi italiani, ma di origine araba (coppe, denari, spade e bastoni), arrivate in Italia nel XIV secolo, e da 22 immagini chiamate Trionfi. Questo gioco rimanda ai Triumphi di Francesco Petrarca, in cui il poeta trecentesco descriveva le sei principali forze che governano gli uomini attribuendo loro un valore gerarchico.” Si ritiene che il Tarocco unisca due mazzi di carte che inizialmente erano slegati tra loro: le carte numerate, poi detti Arcani Minori da J. B. Pitois nel 1870, nate con scopo ludico e le immagini allegoriche, dette Arcani Maggiori, che univano al gioco uno scopo dottrinale di ordine morale. Troviamo infatti le virtù Giustizia, Forza e Temperanza accanto alle quali si affiancano le gerarchie a cui il giocatore era soggetto: quella sociale formata da Bagatto, Imperatrice, Imperatore, Papa e Matto; i corpi celesti Stella, Luna, Sole fino al compimento della perfezione divina descritta nel Mondo. Fino al quattrocento il gioco fu chiamato Ludus Triumphorum e solo nel cinquecento apparve la parola Tarocco, coincidente con il definitivo abbandono del significato dottrinale a favore di quello ludico. Oggetto di divieti, ritenuto immorale e pericoloso in quanto gioco d’azzardo, giungono a noi notizie sul diverso impiego dei Tarocchi nella seconda metà del 1700, quando si spensero i roghi di streghe ed eretici. Allora apparì la cartomanzia, in contemporanea ad un movimento occultista ed esoterico per cui le carte cominciarono ad essere studiate con le moderne modalità della tarologia.

Nell’immaginario collettivo il Tarocco fa riferimento alla divinazione ma una profonda differenza separa cartomanzia da tarologia. La prima alimenta la sete di potere, la seconda l’insegnamento di trovare in sé il centro del comando. Il punto cruciale di questa svolta si trova nel riconoscimento della propria forza interiore quale luogo di partenza per una umanità consapevole. Fra i primi a dare corpo a questo postulato troviamo il già citato J. B. Pitois, convinto che gli Arcani descrivessero il destino di ognuno, a patto di esplorare le valenze dell’evoluzione psichica della persona, alla conquista della piena individualità. Il Tarocco si esprime attraverso la maieutica, metodo di insegnamento proprio di Socrate, basato su dialogo e discussione attraverso cui l’allievo scopre gradualmente ed autonomamente la verità, poiché ogni immagine è parte del percorso di risveglio che conduce all’illuminazione. “Uomo, conosci te stesso e conoscerai l’Universo e gli Dei” era l’avvertimento che sovrastava il tempio dell’Oracolo di Delfi, ripreso poi dai Socratici per risvegliare le coscienze. Questo è il compito degli Arcani Maggiori, dove la parola “arcano” suggerisce un mistero da svelare attraverso il processo evolutivo operato dal Bagatto che si trasforma in Matto. Come ogni strumento iniziatico, il Tarocco si relaziona con altri elementi conoscitivi, creando un flusso energetico fatto di informazioni, vibrazioni, colori, suoni ed immagini. Fra i principali troviamo le ventidue lettere dell’alfabeto ebraico che possono essere definiti archetipi costruttori, i miti attraverso l’uso della mitopsicologia, le vibrazioni dei cristalli, i chakra, suoni ed essenze. Tra i primi a intuire che il Tarocco è imperniato da un profondo simbolismo, chiave di accesso alla conoscenza, furono gli esoteristi francesi fra cui il già citato Antoine Court de Gébelin che, nel 1783 con il saggio “Il gioco del Tarocco”, diffondeva l’idea che i Tarocchi fossero legati al libro di Toth, contenente una antica dottrina egizia.

Alphonse Luis Constant (1810-1875), noto con lo pseudonimo di Eliphas Lévi, per la prima volta collega i ventidue Arcani Maggiori alle ventidue lettere dell’alfabeto ebraico ed ai ventidue sentieri dell’Albero della Vita , promuovendoli come strumenti di comprensione dell’intellegibile. Per oltre un secolo gli esoteristi proseguirono questo percorso, il più noto fu Gérard Anaclet Vincent Encausse, conosciuto con lo pseudonimo di Papus. Nel 1889 affermava che ci fu un momento nel passato in cui gli iniziati capirono che questo sapere poteva andare perduto per sempre insieme al declino della loro civiltà. Decisero così di salvarne l’essenza tramite tre vie: le società segrete sorte da Alessandria in poi, i culti che erano la traduzione simbolica degli alti misteri rivolti al popolo, il Libro della conoscenza, dato direttamente al popolo che diventava così depositario inconsapevole della scienza. Il vantaggio di affidare al popolo il Libro fu che, non riuscendo questo ad interpretarlo, non avrebbe cercato di modificarlo secondo la propria dottrina o metodi, come avvenne nei primi due casi. Il popolo degli zingari fu il depositario del Libro e lo mantenne intatto per secoli, trovando in questo svago e fonte di sostentamento.

7a6fe08027b80ee08bda1ed60d73e334 SDiverso è il significato del Libro per chi è pronto a comprenderne l’essenza, il profondo insegnamento. Questo libro è il Tarocco, la Thorà, la Rota ed è la base di una informazione sintetica che unisce tutti i popoli. Gli alfabeti arcaici, così come il Tarocco, erano strumenti iniziatici e per questo l’alfabeto ebraico, i cui maestri sono i cabalisti, mantiene importanza. In questo millennio, Mario Pincherle indicava l’alfabeto ebraico, ed ancor prima il suo predecessore aramaico, come strumenti iniziatici archetipici. “Quando saprete scoprire i vostri 22 Archetipi, i 22 Segni Viventi che non muoiono e non nascono, non si deteriorano e non spariscono, né si manifestano, ma semplicemente ed eternamente sono, i segni che un giorno erano in voi e che in voi ritorneranno, allora sì che sarete abbagliati e stupefatti”. Ritroviamo gli archetipi con Carl Gustav Jung (1875-1961), padre dell’inconscio collettivo. L’inconscio collettivo si differenzia dall’inconscio personale perché non deve la sua esistenza a memorie individuali; è già insito nella mente di ciascuno, chiunque noi siamo, ovunque viviamo e del tempo in cui viviamo. Questo inconscio comunica tramite immagini, sorta di rappresentazione collettiva, da cui discendono anche fiabe e miti. Gli archetipi sono stati definiti da Jung “modelli di comportamento istintuale e due sono gli aspetti principali del lavoro con essi. Il primo è la creazione di una comunicazione consapevole tra conscio ed inconscio allo scopo di dare un senso al nostro cammino, che Jung definisce “individuazione”, della quale il Mandala è il simbolo. Bisogna andare incontro al Sé : la prima tappa è il contatto con la propria Ombra, una porta stretta che consente la discesa verso la Sorgente. Trovare il senso del percorso permette di migliorare i nostri passi; la prima trasformazione è passare dall’essere determinati all’essere determinanti.

La seconda tappa consiste nell’uso sapiente dei ventidue archetipi, che consentirà all’iniziato di diventare creatore, colui che è capace di plasmare la materia. Per realizzare i percorsi descritti, occorre comprendere chi siamo nella materia, la nostra struttura visibile: questo è possibile attraverso l’uso degli Arcani Maggiori, simboli delle ventidue porte che occorre aprire per accedere a stati di coscienza superiore. Sono innumerevoli le modalità di utilizzo, dalla divinazione alla ricerca interiore: questa ultima ha lo scopo di condurre fuori da schemi comportamentali determinati, all’incontro col Sé ed infine alla dimensione di iniziato, rappresentato dalla carta del Matto, il libero artefice del proprio destino.

Prendiamo ora in considerazione i ventidue Arcani Maggiori, ne mostrerò le immagini tramite un mazzo di carte di Tarocchi di Marsiglia. Con riferimento ad un mazzo di carte di Tarocchi di Marsiglia, un modo per interpretarli è quello di seguire il percorso del Bagatto, lama numero uno, che rende ogni Arcano il proseguo del precedente. Ogni Arcano contiene in sé ciò che contenevano quelli che lo hanno preceduto; i numeri romani che segnano le carte, indicano un percorso additivo, di crescita, una somma di esperienze. Motivo per cui, ad esempio, l’Arcano dell’Eremita è segnato dal numero romano VIIII e non IX. Il tarologo è colui che costruisce un percorso con questi strumenti, elaborandolo con le proprie esperienze, sentimenti, conoscenze ed interessi. Il libro dei Tarocchi è un’opera alchemica che attraverso tre iniziazioni, consente a colui che intraprende il percorso di trasmutare, trasformando il proprio piombo interiore in oro. La prima iniziazione, asse della formazione, considera le carte dal Bagatto (numero I), al Carro (numero VII) e corrisponde a chi siamo nel corpo. La seconda iniziazione, asse della trasformazione, dalla carta della Giustizia (numero VIII) alla carta della Temperanza (numero XIIII), è l’incontro con l’intellegibilità dell’Anima come entità fisica, supporto energetico non impregnato dalla personalità. E’ il divino in noi; consente di riconoscere la nostra identità a livello energetico. La terza iniziazione, asse della trasmutazione alchemica, dalla carta del Diavolo (numero XV) alla carta del Mondo (numero XXI), sul piano psicologico conduce l’iniziato all’incontro con l’inconscio collettivo; conoscere se stessi permette di conoscere il Tutto, poiché la realtà è unica ed ogni parte di essa contiene la radice di ciò che l’ha creata. Rimane fuori da questo percorso l’Arcano del Matto: l’Unità, colui che ha compiuto il percorso e che è libero artefice del proprio cammino. La mancanza del numero nella carta rivela la libertà posseduta dal Matto: egli è contemporaneamente inizio e fine del percorso, Unità che si divide per vivere esperienze, Unità che si ricompone al termine di queste. All’ingresso di ogni iniziazione compare nelle carte una spada, che simboleggia la coscienza portata alla luce; impugnare le spade nei Tarocchi significa quindi prendere coscienza, dunque tutte le iniziazioni invitano a farlo. 

Margherita Calzoni

“Qualche stranezza verrà accettata, qualunque cosa da te ideata” (J.M.). Questo è ciò in cui credo: nella più libera, sguaiata, forzuta e totale libertà di espressione, negli spiriti liberi che hanno voglia di mostrare il proprio lavoro al mondo. Mi sono sempre interessata, quasi come una antropologa in missione sul campo, alle persone, ai loro comportamenti e da dove questi possano scaturire: sono un essere curioso per carattere e riverso questa mia curiosità nel mio lavoro e su chi ha la voglia e la forza interiore per creare. Non solo: cerco sempre di immedesimarmi (questo crea in me una grande curiosità), in ciò che un artista elabora, cercando di comprenderne il carattere ed i moti dell'animo che hanno portato una persona ad esprimersi in un determinato, particolare ed unico modo. La critica deve dare visibilità all'artista, cercando di esporre ed interpretare al meglio per il pubblico il carattere di questo, riuscendo a far emergere i motivi che lo spingono a creare e ad esporsi. “Nessuno sarà mai come me” scriveva Jim Morrison in un suo aforisma e così è: nessuno sarà mai simile ad un altro essere umano, nessuno avrà mai la stessa molla creativa di un altro artista ed in questa unicità è bello immergersi, farsi cullare, per comprendere il mondo e la varietà che esso contiene.

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