Autori: 66 | Articoli: 264

 

Accedi Diventa un autore!

Login

Username *
Password *
Ricordami

Registrati

I campi contrassegnati con (*) sono obbligatori.
Nome e cognome *
Username *
Password *
Verifica password *
Email *
Verifica email *
Captcha *

Chi siamoWhere  |  L'ideale  |  GovernanceVision  |  Partner  | Autori  

libreria ingegneria

13 Apr 2016

La mania degli orti, un presagio alla fine del campo arato da tutti

Scritto da

L’aria è pesante e bisogna correre ai ripari! I popoli stranieri ci invadono! Ciascun oratore avveduto intensifica così i suoi sforzi perché non è più tempo di parlare di ideali, di convergenze, di compromessi, ma è tempo di parlare del proprio piccolo mondo, del proprio magico orto! 

In questo clima di chiamata alle armi, verrebbe a molti di tali uomini forti di uscire dal proprio balcone di casa, o da quello dell’ufficio (o da qualsiasi altra sporgenza verso l’esterno che li elevi ad una ipotetica folla), ed appellarsi a migliaia di seguaci con l’esortazione iniziale di “Italiani..”, invocando, nel loro possente discorso, un ultimo appello per la salvezza del nostro povero Paese; elencando soluzioni intelligenti a problemi visibili ed incombenti.

Potrebbe esibirsi questo spettacolo dalle intense tinte di un passato liberticida, ma fortunatamente ciò non accade (o se avviene, di certo non con gran visibilità), in questa Italia che è aggrovigliata in una delle tante questioni che ormai sono più grandi di Lei: ad un esodo del popolo del Terzo Mondo verso la Terra promessa europea, in cui questo Paese di mare si colloca involontariamente in mezzo, e, nelle regioni prospere del Nord, già al suo interno. Profeti della paura esortano a ritornare agli esordi del dopoguerra, ad un Europa divisa tra nazioni stremate; mentre politici burocrati legati ad un identità sovrannazionale politicamente debole, tacciono e tremano nella loro inerzia.. In questo clima privo di controllo, la nostra Italia e la sua gente comune volgono sempre più attenzione al proprio orticello “italico” e il sogno di un campo europeo arato da tutti gli Stati si assopisce in noi, ora più nostalgici di un passato leggendario e surreale...

Ma il fascino dell’orto, non solo occupa le menti di molti, ma trova concreto esempio nelle politiche attuate da governi sempre più obbligati ad accontentare queste scie di malcontento diffuso. L’Italia raccoglie grandi adesioni, ma è in altri Paesi che è già mania reale e politica; un segnale allarmante e recentissimo è nella civile Austria dove si sceglie di ripristinare il controllo presso il confine, nel Brennero, per tutelarsi dall’invasione di ostili presenze e, a rincarare la criticità, si osserva il trionfo elettorale di politici di oscure credenze, ineleggibili in un passato non troppo lontano...

Senza entrare nel merito di chi entra, e tramite quali mezzi giungono costoro in Europa, e senza appellarmi ad un senso di accoglienza cristiano trasmesso dal Papa, la mia domanda si sposta su qualcosa di logico, semplice, su una dialettica tra due figure dissimili, estendibili al problema dell’immigrazione così come altri problemi; ad un’immagine evolutiva che ci induca a riflettere e poi riflettere ancora un po’ su la situazione attuale...

Premesso che la “ teoria dell’orto” è un facile paradigma, che affonda le sue radici a quel storico principio di sussidiarietà privata, e poi politico ed economico in senso lato, che predominò il Medioevo e che fu superato (ma mai vinto) nell’epoca moderna, portando ad una nascita ed evoluzione dei mercati e a quella condizione di benessere di cui godiamo adesso, quello che avverto ora è un sorta di ritorno infelice alla idea di sussidiarietà, a quella mentalità da ortolano, che tende a restringere i suoi interessi verso la propria realtà più stretta; tende viepiù a riemergere nella voce dei politici dei paesi europei quell’esortazione al risolvere le proprie problematiche in maniera propria, e non condivisa. Questo rumore politico, dalle ampie ricadute economiche, comprime, schiaccia, o forse solo rallenta, quella scalata auspicata di crescita civile ed economica che sottosta’ all’idea di Unione Europea, come terreno geografico, politico ed economico da coltivare assieme. Detto nel modo più elementare possibile, è tempo per noi dotati di intelletto, di riflettere su un’idea dai risvolti utilitaristi, capace di annientare idee prive di senso e regredite: cosa produce di più, un orto o un campo? E, associando questo quesito anche ai problemi più opprimenti di questo nuovo millennio quale l’immigrazione. Chi riesce a gestire meglio un fenomeno di questo genere un sovrastato o un accozzaglia di tanti singoli stati? Chi ha testa la usi, perché noi figli fortunati del progresso condiviso, noi figli di ideali forti universali, non sappiamo a cosa andiamo incontro se diventiamo maniaci del nostro piccolo e illusorio orto...

Gian Marco Cavallari

Gian Marco Cavallari, laureato in Storia Contemporanea, Scienze Filosofiche ed Economia e Commercio, e con due Master Universitari in Gestione d’Impresa e Diritto Tributario. Attualmente collaboratore presso studio di consulenza tributaria e societaria.

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Ultimi da Gian Marco Cavallari

inglese francese  spagnola  tedesca  portoghese  norvegese  albanese  mandarino  cantonese  giapponese  arabo  russia  coreasud  coreanord
Chi siamo | Autori