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libreria tecnologia

18 Ott 2017

Women in Technology: the Google’s memo

Scritto da

Quest’anno ha visto l’evolversi di una vicenda interessante riguardo al ruolo delle donne nell’industria informatica: lo scandalo del memo di James Damore.

Per chi non fosse al corrente dei fatti (cosa abbastanza normale se non si è particolarmente interessati all’industria informatica), James Damore è un ingegnere che ha lavorato in Google per circa 4 anni e che all’inizio del 2017 ha scritto e condiviso un memo nel forum aziendale intitolato “Google’s Ideological Echo Chamber”, in cui espone il suo punto di vista riguardo le motivazioni per cui poche donne lavorano e fanno carriera nel mondo delle tecnologie digitali.

Lo scandalo che ha portato al licenziamento di James Damore è stato generato dalla ferma convinzione dell’ingegnere per cui le donne sono meno presenti nelle industrie informatiche non per sessismo, ma perché naturalmente le donne sono meno portate per la tecnologia.

Ora che il contesto generale è chiaro a tutti i lettori, fermiamoci un attimo e focalizziamoci su come questa azione di un impiegato sia stata accolta dal mondo.

Inutile dire che appena il memo è stato reso pubblico la stampa ha espresso il suo oltraggio rispetto al contenuto, iniziando ad accusare Google di sessismo o comunque di non affrontare correttamente il problema del maschilismo nell’industria tecnologica.

La risposta di Google a tutto questo è stata di dissociarsi dal memo e licenziare James Damore.

James Damore ha risposto, a sua volta, facendo causa a Google.

Chi ha ragione? Chi ha torto? Quali sono gli aspetti inquietanti di questa vicenda?

La pubblica e arbitraria crocifissione di James Damore mi ha molto colpito, perché per quanto una persona possa avere un punto di vista discutibile, le sue personali opinioni non dovrebbero essere giusta causa di licenziamento. Fa’ parte dei principi democratici e di libero pensiero. Inoltre il forum dove James Damore ha pubblicato il suo memo era ufficialmente un forum di discussione libero interno all'azienda.

Io stessa sono una cosiddetta “Donna nella tecnologia”, e quando ho letto questa storia non ho potuto fare a meno di andare a leggere il memo nella sua interezza (se volete cliccate qui) per capire quali ragioni James Damore avesse portato a supporto della sua tesi.

Devo dire che per quanto le ragioni fossero a mio avviso traballanti, lo spirito del memo era corretto e non da condannare al 100%.

Le ragioni sono discutibili in quanto si basano su studi psicologici (non citati tra l’altro) per cui le donne in media  presentano inclinazioni non compatibili con il mondo di Google e in generale delle organizzazioni della “Silicon Valley”.

James Damore sostiene nel suo memo che queste inclinazioni sono cross-culturali quindi non imputabili ad aspetti sociali (aspetto di cui onestamente dubito, in quanto lo stesso maschilismo si esplicita in modi molto diversi nella stessa Europa).

demaggioInoltre, altro aspetto lacunoso nella sua teoria è il seguente: se questi studi psicologici dicono che in media le donne sono meno portate, come cambia la statistica se si considerano solo donne che hanno scelto di studiare materie scientifiche e come si comporta la percentuale di "diversity" di Google rispetto a questa statistica?

Per chi non lo sapesse la percentuale di donne lavoratrici nelle big informatiche (i.e. Google, Microsoft, Apple etc) varia dal 15% al 25% includendo tutte le divisioni (e.g. Risorse Umane, vedete qui) e per quanto possa esserci un bias di fatto, il gap è davvero enorme per essere giustificato solo da medie calcolate su campioni non significativi per il caso. La dimostrazione di James Damore risulta quindi molto prona a critiche.

Tuttavia l’aspetto su cui mi vorrei soffermare è un altro,ovvero lo spirito del memo.

James Damore ha provato a mettere in discussione un dogma, ovvero che l’unica ragione per cui ci sono poche donne in Google è il sessismo degli impiegati, e come unica risposta è stato licenziato, dopo un pesante linciaggio pubblico.

Gli Stati Uniti sono i portatori della democrazia e del pensiero libero (almeno così si definiscono) eppure una persona è stata licenziata solo per aver messo in dubbio qualcosa.

Adesso le statue di Cristoforo Colombo se la stanno vedendo male in quanto questo è considerato uno “schiavista”, sollevando un dubbio legittimo per cui democrazia e iconoclastia in genere non vanno a braccetto. 

Mi ha profondamente colpito che nessun articolo abbia sollevato il problema per cui Google ha licenziato un dipendente solo per aver espresso una opinione e non, ad esempio, per aver effettivamente fatto qualcosa che andasse contro le policy di pari opportunità dell'azienda.

E' amaro pensare che evidentemente tutti questi sedicenti democratici che alimentano e approvano queste crocifissioni mediatiche non ricordino le parole di Evelyn Beatrice Hall, rese famose dall’erronea attribuzione a Voltaire, ma che tutt'oggi riassumono in modo potente il concetto di libertà di parola sostenuto durante l'Illuminismo: “Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo”.

 

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Elettra Damaggio

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