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libreria giurisprudenza

15 Giu 2016

Il mobbing come reato e le lacune legislative all'interno del codice penale

Scritto da

Di natura similare al normato reato di stalking, è il cosiddetto mobbing che, in realtà, è fenomeno meramente fattuale, non ancora – purtroppo - disciplinato a livello normativo.

A differenza del reato di stalking, previsto e punito dall'art. 612 bis codice penale, il mobbing si concretizza in una condotta aggressiva posta in essere nel luogo di lavoro diretta a svilire la personalità e la dignità del lavoratore con effetti sfavorevoli e ripercussioni nell’ambito della vita sociale, personale e familiare. La fonte dei cosiddetti atti persecutori è da rinvenirsi nell’ambiente di lavoro ed è per questo che, sovente, si parla di “stalking occupazionale”. È chiaro che anche il mobbing, pur avendo origine in ambiente lavorativo, si sviluppa attraverso una violenza psicologica nei confronti della vittima, la quale può essere messa in atto da un superiore oppure da un collega: da qui deriva la figura del mobbing verticale ed orizzontale.

Nonostante il mobbing presenti i caratteri tipici di una condotta criminosa volta a pregiudicare il diritto alla salute dell’individuo che trova riconoscimento e tutela anche nella Costituzione, non esiste, come affermato sopra, allo stato attuale, una normativa che lo identifichi come reato. A tal proposito la Corte di Cassazione, (Cassazione Penale n. 33624/2007) ha più volte affermato che la figura di reato più prossima alle caratteristiche del mobbing è quella descritta dall’articolo 572 del Codice Penale e cioè il reato di maltrattamenti in famiglia. All’uopo si può citare una Sentenza pronunciata dalla stessa Corte di Cassazione secondo la quale “le condotte di carattere vessatorio e persecutorio realizzate ai danni del lavoratore dipendente (c.d. mobbing), possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia allorquando il soggetto agente versi in una posizione di supremazia che si traduca nell’esercizio di un potere direttivo o disciplinare, tale da rendere specularmente ipotizzabile una soggezione, anche di natura meramente psicologica, riconducibile ad un rapporto di natura parafamiliare” (Cassazione Penale n. 43100/2011).

Si potrebbe dedurre che giurisprudenza ha voluto ricondurre la condotta mobbizzante nell’ambito del reato di maltrattamenti in famiglia di cui all’articolo 572 del Codice Penale ricorrendo ad un ampliamento della sfera di operatività di quest’ultima norma. Le più risalenti sentenze, a dire il vero, ritenevano integrato il reato di maltrattamenti in famiglia ogni volta che il datore di lavoro ponesse in essere comportamenti mobbizzanti, a prescindere dalle dimensioni dell’organizzazione lavorativa. Un diverso orientamento, più recente e oggi prevalente, (ex multiis n. 13088 VI Sez. penale della Corte di Cassazione, pubb. 20.3.2014) ritiene invece integrato il reato di maltrattamenti solo quando le dimensioni dell’impresa siano più ridotte. In questi casi la relazione tra datore di lavoro e lavoratore è suscettibile di assumere l'intensità e l' abitualità che l’art. 572 c.p. tenderebbe a tutelare.

Carlotta Toschi

Avvocato in Bologna, si occupa prevalentemente di diritto penale ed è cultrice di diritto europeo dell'immigrazione presso la facoltà di Giurisprudenza, università di Modena - Reggio Emilia.

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