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libreria giurisprudenza

18 Mag 2018

Una riforma per governarli tutti

Scritto da

Le elezioni politiche tenutesi il 4 marzo scorso hanno restituito al Paese una situazione assai difficile, sebbene non del tutto imprevedibile.

Da un lato, la nuova legge elettorale – il famigerato Rosatellum bis – ha efficacemente determinato l’espulsione dei piccoli partiti dall’agone politico semplificando, per certi versi, lo scenario delle possibili alleanze post-elettorali. Al di là delle soglie di sbarramento, infatti, è un dato assodato che i collegi uninominali attraverso i quali si eleggeva un terzo dei parlamentari non avrebbero mai potuto essere conquistati da forze politiche ancora poco note o non sufficientemente radicate e, di conseguenza, il sistema ne ha fortemente limitato la rappresentanza. Al contempo, il criterio maggioritario applicato in tali collegi ha indubbiamente consentito di utilizzare i voti espressi per rafforzare le principali forze politiche del paese in luogo del tanto vituperato premio di maggioranza previsto sia dal c.d. “Porcellum” sia dal c.d. “Italicum”.

Ciò non di meno, è anche noto che il maldestro coordinamento tra “voto proporzionale” e “voto maggioritario” ha creato non pochi problemi nell’assegnazione dei seggi alimentando i dubbi sulla scelta del legislatore di non prevedere adeguate forme di scorporo. L’effetto razionalizzante del sistema elettorale misto (il c.d. modello “Mattarellum”) resta comunque indiscutibile e, anche in conseguenza delle complesse implicazioni delle sentenze della Corte costituzionale nn. 1/2014 e 35/2017, molti lo hanno ritenuto inevitabile.

In realtà, sappiamo che i margini di discrezionalità del legislatore erano piuttosto ampi se si pensa alla varietà di meccanismi di espressione del voto e di relativa assegnazione dei seggi applicati nel mondo. Il marcato tripolarismo che si è venuto a creare, sebbene risulti decisamente più razionalizzato della congerie di partiti che tra gli Anni ’80 e 2000 ha caratterizzato la politica parlamentare italiana, pone comunque un serio problema di governabilità.

montecitorio vuoto

Ancorché non si voglia considerare tale fattore un parametro di legittimità costituzionale, si è inevitabilmente indotti a concludere che di una legge costituzionalmente ineccepibile che però non sia in grado di portare ad un governo stabile, gli Italiani non se ne giovino gran ché. Anzi, pare che in un contesto internazionale ove le agenzie di rating determinano quanto costerà rifinanziare il debito pubblico, l’incapacità di instaurare un governo stabile possa portare a conseguenze molto gravose per i contribuenti italiani.

Tra i costituzionalisti si sta inoltre diffondendo l’idea che il problema non riguardi tanto la legge elettorale quanto la forma di governo. Le linee di tendenza delle riforme costituzionali a livello globale mostrano uno scenario in cui al garantismo post-bellico dei sistemi parlamentari viene nettamente preferito il semipresidenzialismo alla francese.

Va tenuto conto inoltre che, a fianco della posizione dei costituzionalisti, l’orientamento maggioritario dei politologi predilige ai fini della governabilità il sistema elettorale maggioritario applicato in Francia.

Viene quindi da chiedersi quali valutazioni hanno condotto i partiti politici italiani ad adottare un sistema elettorale misto che si era già deciso di abbandonare nel 2005. Se, da un lato, gli esiti del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 hanno finito per inibire l’anelito riformatore, dall’altro lato, è sostanzialmente condivisa dagli esperti l’idea che buona parte della governabilità dell’Italia dipenda da una razionale modifica dei regolamenti parlamentari e della legge elettorale. Evidentemente non ci si è posti abbastanza il problema del rapporto costi-benefici.

L’insoddisfacente tripolarismo che si è venuto a creare a seguito dell’ultima tornata elettorale pone una serie di problemi che meriterebbero una riflessione più approfondita e meno frettolosa.

Le prolungate consultazioni attualmente in corso hanno fatto emergere il tentativo di formare un governo prima ancora che il Capo dello Stato sappia chi nominare come Presidente del Consiglio dei Ministri. Si tratta senza dubbio di un precedente anomalo rispetto alle previsioni della nostra Costituzione (art. 92 Cost.) che però rivela la natura della fase politica attuale, ovverosia quella di un governo delle minoranze.

La lettura più disincantata degli esiti elettorali del 4 marzo scorso, infatti, mostra un Paese senza maggioranza ove persino lo strumento delle coalizioni non è più sufficiente. D’altra parte, al di là dei proclami provocatori, non vi è ragione di ritenere che un ritorno alle urne con la stessa legge elettorale darebbe esiti significativamente diversi. Ne deriva che non vi sia una reale alternativa ad una modifica del sistema ma, com’è noto, per fare le riforme occorre un governo e una maggioranza che attualmente mancano. Di qui, l’impasse in cui si trova il Presidente Mattarella e tutta l’Italia.

In realtà, non è la prima volta che il Bel Paese si ritrova in una fase di governo delle minoranze ma probabilmente in passato il rapporto di delicati equilibri era governato da personalità politiche di diversa statura. Non si deve poi dimenticare che il tentativo di costruire alleanze con forze politiche estremiste o, comunque, in forte contrapposizione col sistema non ha portato esiti positivi neanche in passato; la morte di Aldo Moro dovrebbe continuare a ricordarcelo.

Come era prevedibile sin dall’inizio, se questa Legislatura sarà mai in grado di dare vita a un governo, questo dipenderà dalla Lega di Salvini e dal Movimento 5 Stelle. La crisi irreversibile della corte berlusconiana e della sinistra renziana ha aperto inequivocabilmente una nuova fase politica dai contorni ancora incerti.

Se, da un lato, occorre una attenta e prolungata riflessione sul migliore sistema elettorale da applicare e sulle riforme istituzionali, dall’altro lato, non vi è molto tempo per approvare la manovra finanziaria e la legge di bilancio, tenuto conto, peraltro, delle problematiche poste da promesse elettorali troppo audaci ed ambiziose.

Una strada percorribile potrebbe prevedere un accordo di governo Lega- M5S limitato a pochi punti strategici con una presidenza condivisa volta prevalentemente ad apportare le modifiche necessarie al sistema. Niente riforme costituzionali, né rivoluzioni copernicane, quindi, auspicando che i partiti comprendano che gli Italiani hanno più bisogno dei decreti attuativi delle numerose leggi già entrate in vigore e del rispetto delle scadenze invece di illusori miraggi con alto ritorno di consensi.

 

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Alessandro Martinuzzi

Avvocato abilitato presso il Foro di Bologna, PhD dell'Università di Bologna.

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