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libreria ingegneria

09 Lug 2018

Scuola e società: due mondi separati?

Scritto da

DISCLAIMER: questo pezzo non è un articolo di cronaca né una voce di enciclopedia, quindi non sarà oggettivo e imparziale e l'autrice non vuole che lo sia.

Prologo

Faenza, 20 giugno 2018. Comincia oggi la maturità per i ragazzi del '99, che si accingono ad affrontare il tema.

Alcuni di loro, che frequentano il liceo classico, decidono di inserire nella loro prova un appello alle più alte cariche statali in favore dei migranti, citando l'articolo 2 della Costituzione. L'episodio rimbalza anche sulle pagine di cronaca nazionale, c'è chi loda l'atteggiamento dei ragazzi e chi lo critica. Qualche giorno più tardi, alcuni esponenti del partito leghista di Faenza annunciano che presenteranno un esposto al Provveditorato per assicurarsi che i ragazzi non siano stati indottrinati da un'insegnante, ma abbiano agito di loro spontanea volontà. La notizia si diffonde e, nuovamente, provoca le reazioni più varie, dal totale appoggio ai maturandi al completo accanimento verso l'insegnante.

Oggi, 26 giugno 2018, molte tastiere sono in fiamme a Faenza e nel circondario: è stata pubblicata la notizia di cui sopra e ognuno cerca di scrivere il più in fretta possibile la propria opinione. Io ho scelto di dedicare il mio spazio su HEC per cercare di riflettere sull'argomento, considero questo pezzo come una pagina di diario aperta al pubblico. 

Ho appena finito di leggere al post di Faenzanet (pagina locale tristemente nota per non essere imparziale come invece si chiede achi professa di fare informazione) ed i commenti, partendo dai quali mi pongo alcune domande: cosa vuol dire che la scuola deve essere "apolitica"? Cosa vuol dire "insegnare" oggi? Quei ragazzi non potevano agire diversamente?

pitrelli

Andiamo con ordine: ho sempre riso di fronte a quelle battute che prendono il giro come alcuni argomenti scolastici siano lontani dalla realtà, ad esempio "Ed anche oggi non ho usato il teorema di Pitagora" o "Ma quando mai mi chiederanno il paradigma di fero?!", ed effettivamente mi sono resa conto, nel corso del mio percorso scolastico, che talvolta la scuola si dimostra lontana dal mondo dei giovani che la frequentano. Ecco, finalmente la scuola scende in campo, ad un esame dei ragazzi prendono posizione nei confronti di qualcosa in cui credono e subito si grida che la scuola deve essere apolitica. Apolitica? Etimologicamente parlando, ciò significa che la scuola si deve tenere ben lontana dalla vita pubblica, da quella res publica che si esalta solo quando fa comodo. Una scuola è un insieme di persone e, se è vero che "penso quindi sono", come si può pretendere di impedire alle idee di starne fuori? Chiunque abbia scritto un saggio breve su quei banchi, o almeno chiunque abbia anche solo sostenuto una conversazione di un certo spessore, dovrebbe sapere che è impossibile tacere ciò in cui si crede. 

Tra le frasi che ho letto c'è questa, "Un insegnante deve essere neutrale alla politica", ovvero se vuoi dire come la pensi, cercati un lavoro che ti permetta di farlo. Se insegnare è recitare pari pari i contenuti di un libro, allora liberiamoci seduta stante di questa categoria. Di nuovo, partiamo dal significato primo della parola, che è quello di "mettere un segno, imprimere": un insegnante che non ti colpisce e non ti stimola con il suo pensiero ha sbagliato mestiere. Se non si comincia a discutere in classe, in un ambiente protetto, del mondo che ci circonda, quando si dovrebbe iniziare? O dove? Ovviamente, è una questione completamente diversa quella dei professori che valutano favorevolmente solo chi la pensa come loro, questo sì sbagliatissimo perché viene meno un'altra importante lezione, il rispetto per il pensiero altrui.

E infine passiamo ai ragazzi: 18enni e 19enni che fuori dalle mura scolastiche possono dire tutto quello che vogliono, possono votare e devono prendersi la responsabilità di ciò che fanno, mentre dentro quelle mura diventano agli occhi esterni marionette prive di qualsiasi capacità. Finalmente questi giovani riescono a farsi sentire e ad attirare l'attenzione su una generazione accusata di menefreghismo e apatia, ma subito la loro iniziativa viene letta come un comportamento dettato da qualcun altro. Io sarei delusissima se una mia idea venisse accusata di essere il frutto di un indottrinamento, come se non fossi capace di fare scelte da sola, soprattutto in un momento quale è l'esame di maturità, celebrato come l'ingresso nel mondo degli adulti, ma solo se segui le regole. E alle regole è poi giunto il famoso dibattito virtuale da cui si è sviluppato questo pezzo: è legittimo che un esame di Stato diventi il trampolino di lancio per un appello del genere? Forse davvero un documento come la prima prova non dovrebbe diventare oggetto di una discussione politica, ma per farsi ascoltare non si possono seguire le regole e si deve essere coraggiosi, perché di coraggio si tratta: a 18/19 anni quel voto è importantissimo e rischiare di comprometterlo per una presa di posizione così forte è un'azione non da poco. 

 

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Lisa Pitrelli

Nata nel 1996, laureanda in lettere classiche presso l'Alma Mater Studiorum di Bologna. 

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