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medicina

03 Ago 2020

Covid-19, non è ancora un ricordo

Scritto da

“La polizia poteva fermare chi sputava per strada, multarlo o addirittura arrestarlo se ripeteva l’infrazione, mentre se si partecipava a un incontro politico o a un evento sportivo, violando il divieto dei raduni di massa, il rischio era di vedere irrompere le forze dell’ordine e di essere malmenati a colpi di manganello. Anche se si infrangevano le regole sulla quarantena o i cordoni sanitari bisognava aspettarsi una severa punizione.

Molti rispettavano le restrizioni. I movimenti per i diritti civili erano ancora lontani da venire, le autorità avevano maggiore possibilità di intervento nella vita dei privati cittadini e misure che oggi sarebbero percepite come invadenti erano invece considerate accettabili.”

Questo è quanto scrive Laura Spinney nel 2017; trattando l’argomento della pandemia del 1918 di influenza spagnola, fa una specie paragone tra le restrizioni che un governo poteva permettersi di imporre all’inizio del 1900 e le ipotetiche restrizioni che la popolazione mondiale del terzo millennio sarebbe disposta ad accettare, considerando difficile che il singolo individuo contemporaneo sacrifichi quasi interamente la propria libertà per il bene comune.

Ebbene, gli eventi che hanno colpito il pianeta negli ultimi mesi hanno mostrato un’umanità ancora in grado di sacrificare la propria quotidianità, la normalità, la libertà di gestire relazioni e movimenti, a fronte di una situazione di emergenza. Che ciò sia avvenuto per paura delle conseguenze sanzionatorie, per paura di essere contagiati, per un forte senso di comunità o semplicemente perché non c’era alternativa alcuna, questo ha poca importanza: ciò che conta è che siamo riusciti, grosso modo, a rispettare le imposizioni “venute dall’alto” e a superare, almeno per ora, lo stato di emergenza sanitaria.

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È lapalissiano che si sta parlando della pandemia di Coronavirus. Il nuovo coronavirus SARS-CoV-2, denominato già 2019-nCoV, è un nuovo ceppo di coronavirus, vasta famiglia di virus noti per essere responsabili di diverse malattie del tratto respiratorio (dal comune raffreddore alla SARS). Così chiamati poiché presentano un aspetto simile a una corona, sono stati identificati per la prima volta a metà degli anni ’60 e possono infettare sia l’uomo che alcune specie di animali. Ad oggi, siamo a conoscenza di sette ceppi di coronavirus in grado di infettare l’uomo: alcuni più comuni, come quelli del raffreddore, ed altri quali il SARS-CoV-2 (oggetto della nostra analisi).

Il nuovo coronavirus, responsabile della pandemia in corso della malattia respiratoria denominata COVID-19, seppur fratello del SARS-CoV, è un ceppo completamente nuovo, mai stato precedentemente identificato dall’uomo; ed è questo uno dei motivi principali per i quali è riuscito a creare tanto scompiglio.

Molto probabilmente la provenienza è animale, nel senso che un ceppo di coronavirus, capace di infettare solo nel regno animale, ha subito una mutazione che gli ha permesso di effettuare un salto di specie, diventando così patogeno anche per l’essere umano. Tuttavia, la comunità scientifica è ancora incerta sulla provenienza del nuovo coronavirus, in quanto, in questo momento, questo e tanti altri aspetti che riguardano il virus sono ancora in fase di studio e sperimentazione, per cui sarà necessario parlare in termini di possibilità e probabilità. L’ipotesi che appare più probabile è che il reservoir ecologico di SARS-CoV-2 risieda nei pipistrelli.

Qualche certezza in più ce l’abbiamo per ciò che invece attiene ai metodi di trasmissione da persona a persona del nuovo coronavirus, il quale si trasferisce:

- In modo diretto;

- In modo indiretto (attraverso oggetti o superfici contaminati);

- Per contatto stretto – distanza inferiore a 1 metro- con persone infette attraverso secrezioni della bocca e del naso (saliva, secrezioni respiratorie o goccioline droplet).

La trasmissione del virus avviene prevalentemente da persone sintomatica, ma può verificarsi anche poco prima dell’insorgenza della sintomatologia e, soprattuto, c’è la possibilità he la trasmissione avvenga da persone che non manifestano mai sintomi. Questa difficoltà di identificare i trasmettitori

del virus, nonché l’elevatissima contagiosità dello stesso, ha fatto si che si propagasse a macchia d’olio sull’intero pianeta in pochissimo tempo, prima che si riuscissero ad attuare le misure di contenimento che poi si sono poi rivelate, almeno apparentemente, necessarie a fronteggiare l’emergenza sul piano sanitario.

Il primo segnale della presenza di casi di polmoniti dall’eziologia ignota è partito da una segnalazione della Cina all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il 31 dicembre 2019. Il 9 gennaio 2020, il CDC cinese ha riferito di aver identificato in un nuovo coronavirus l’agente patogeno causa della malattia respiratoria poi denominata Covid-19. Da lì, come è ben noto, la situazione si è sgretolata, senza che in un primo momento ce ne rendessimo conto: il 30 gennaio 2020 l’OMS ha dichiarato l’epidemia di Coronavirus quale Emergenza Internazionale di salute pubblica; il 28 febbraio 2020 ha elevato la minaccia a livello “molto alto”; l’11 marzo 2020 si è arrivati alla definizione di pandemia diffusa in tutto il pianeta.

L’Italia ha bloccato tutti i voli da e per la Cina, per 90 giorni, a partire dal 30 gennaio e ha poi, il 31 gennaio, dichiarato lo Stato di emergenza, stanziato i primi fondi e nominato Commissario straordinario per l’emergenza il Capo della protezione civile.

Con un primo decreto legge, il 23 febbraio 2020 il governo ha varato misure per il divieto di accesso e allontanamento nei comuni dove erano presenti focolai, nonché la sospensione di manifestazioni ed eventi. Ma è a marzo, con i dpcm del 4 marzo, 8 marzo, 9 marzo e 11 marzo che inizia per gli italiani quel periodo di isolamento in casa e chiusura delle attività commerciali non di prima necessità che ha portato ad un cambiamento radicale, sociale ed economico, con il quale saremo destinati a fare i conti ancora per un po’.

La c.d. Fase 1, ossia la quarantena vera è propria, è durata, in Italia, fino al 4 maggio 2020, ed è riuscita nel suo scopo di fronteggiare l’emergenza sanitaria, sia in termini sostegno, ricostruzione, investimento del Sistema Sanitario Nazionale che, più “banalmente”, in termini di possibilità di cura dei pazienti infettati dal nuovo coronavirus, che hanno raggiunto un numero tale, in un breve lasso di tempo, da far rischiare il collasso della sanità pubblica.

Ad oggi (16 luglio 2020), infatti, i casi totali in Italia sono 243.506, di cui 12.493 attualmente positivi, 196.016 guariti e 34.997 deceduti.

Giunti, a poco più di due mesi dalla fine dell’isolamento, ad una fase di ritrovata libertà, a volte dimentichiamo che la “situazione cornavirus”, seppur notevolmente migliorata, non è ancora semplicemente un ricordo, in quanto il virus è ancora presente, forse meno aggressivo, e probabilmente saremo costretti a convivere con lui fin quando non si sarà trovato un vaccino efficace. Per quanto i progressi in campo medico-scientifico siano costanti, è comunque necessaria una determinata quantità di tempo perché si possa completare una procedura di individuazione, ideazione, sperimentazione e diffusione di un vaccino.

Nonostante i tempi tecnici necessari, la comunità scientifica sembra però essere a buon punto: la società americana di biotecnologia moderna si sta preparando ad avviare, il 27 luglio, il trial di fase III, quello su vasta scala, del suo vaccino contro Covid-19 (mRNA-1237); sembra poi che debba avvenire in questi giorni la pubblicazione dei primi dati della sperimentazione del vaccino di Astra Zeneca, anche lui in fase III. Oltre a questi, secondo le stime del Milken Istitute di Santa Monica, sono 194 i vaccini in fase di studio e 17 quelli avviati a sperimentazione clinica.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha appena annunciato che sono almeno 75 i paesi che hanno presentato manifestazioni di interesse all’adesione allo strumento COVAX, un meccanismo progettato per garantire un accesso rapido ed equo ai vaccini COVID-19 in tutto il mondo. Questi 75 paesi finanzieranno i vaccini con le proprie finanze, collaborando con un massimo di 90 paesi a basso reddito.

L’obiettivo di COVAX è fornire due miliardi di dosi di vaccini sicuri ed efficaci entro la fine del 2021, distribuendoli allo stesso modo a tutti i paesi partecipanti, in proporzione alle loro popolazioni,

arrivando a coprirne circa il 20%, con priorità per gli operatori sanitari; ulteriori dosi saranno poi rese disponibili a seconda delle necessità del paese.

Ma, fintanto che questo vaccino non sarà disponibile, cosa dobbiamo aspettarci?

Anche qui, non si può che ragionare in termini di ipotesi, probabilità e possibilità. L’opinione maggioritaria, sostenuta e propagata dall’OMS, avalla l’ipotesi per la quale “il peggio deve ancora venire” e dobbiamo aspettarci una seconda ondata in autunno, così come avvenne per l’influenza spagnola nel 1918.

“La pandemia di Covid-19 non è nemmeno vicina alla fine” ha spiegato il direttore generale dell’OMS T.A. Ghebreyesus. “Sebbene molti paesi abbiano compiuto alcuni progressi a livello globale, la pandemia in realtà sta accelerando. Siamo tutti coinvolti e lo siamo a lungo termine. Abbiamo già perso tanto, ma non possiamo perdere la speranza.”

www.salute.gov.it
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Stefano Marcheselli

E' il fondatore di HumanEuropeCapital.

Laureato presso l'Università Bocconi di Milano, specializzato presso la Luiss Guido Carli a Roma, ha finito il percorso accademico presso l'Ecole de Commerce Solvay a Bruxelles.

Attualmente lavora come consulente in una consulting finanziaria a Milano.

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