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libreria ingegneria

05 Feb 2018

Il Texas nel Trono di Spade

Scritto da

È il 17 aprile del 2011, quando il network statunitense HBO lancia un prodotto destinato a restare nella storia: Il trono di spade, una serie fantasy che piace al grande pubblico.
Si tratta di una sorta di miracolo, preceduto dalla breccia che Peter Jackson ha aperto nella nicchia di appassionati de Il signore degli anelli di J.R.R. Tolkien, per anni ermeticamente isolata.

Come si spiega? In molti modi già a lungo analizzati: dall’impostazione drammaturgica, all’utilizzo spregiudicato delle scene di sesso, a una notevole riduzione della componente magica, alla sapiente orchestrazione degli intrecci.

La verità, però, è che per quanto tutti questi fattori siano rilevanti, non bastano a motivare la vera rivoluzione che Il trono di spade ha messo in atto; non bastano a dirci come mai (attenzione, perché qui sta il busillis !) il fantasy sia diventato territorio femminile.

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E con questo, non si intende solo che le donne de Il trono di spade siano dei grandi personaggi o che gli uomini siano dei gran fusti, ma soprattutto che la saga ha saputo calcare la traccia dell’archetipo narrativo femminile per antonomasia: quello della telenovola, della soap, dello sceneggiato lungo.

In una parola, l’archetipo di Dallas, il serial che ha fatto la fortuna della CBS negli anni ‘80.

Per gli scettici, ecco alcune prove di questa azzardata teoria:
nei 13 anni di saga texana, vediamo fondamentalmente famiglie di potenti scannarsi per il petrolio; a Westeros accade lo stesso per un trono;
nel 1980, il mondo intero ha passato mesi a chiedersi chi avesse ucciso J.R. Ewing così come, 34 anni dopo, è stato costretto a fare con Jeoffrey Lannister;
Bobby Ewing e John Snow, i belli e ricciuti della situazione, sono stati indiscutibilmente visti morire e poi tornare dall’al di là;
Sue Ellen Ewing era una donna forte, circondata dal male e con un grosso vizio: l’alcol; Cersei Lannister è una donna forte, circondata dal male, con un grosso vizio — l’alcol — e uno ancora più grosso: il fratello.

L’elenco di similitudini potrebbe continuare ancora e si arresta solo di fronte a una sostanziale differenza: a Southfork Ranch, nessuno avrebbe compiuto la leggerezza di mettersi a blaterare dinanzi alla Montagna che Cavalca in fin di vita. A Southfork Ranch, prima lo avrebbero fatto sparire e solo dopo avrebbero fatto il panegirico.

Altro che Keep calm and Oberyn Martell.

 

 

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Giulia Soi

Sono nata a Roma mentre finivano gli anni '70 e – fatta eccezione per qualche anno vagabondo tra Spagna e Francia – ho sempre vissuto a Roma. Sempre nello stesso quartiere, per essere precisi.

Laureata due volte, una in Scienze della Comunicazione e l'altra in Geografia, ho iniziato a occuparmi di mass media alla Scuola di Televisione R.T.I. di Maurizio Costanzo: era il 2004 e da quel momento non ho più smesso.

Oggi sono un'autrice televisiva con all'attivo più di venti programmi per una dozzina di canali diversi, oltre che una giornalista pubblicista iscritta all'Odg del Lazio dal 2012; in generale, però, mi riconosco nella definizione di storyteller con il vizietto del web, il sogno di pubblicare un libro e una insaziabile passione per i viaggi, la musica e lo sport.

Oltre all’italiano, parlo correntemente e insegno cinque lingue, tre vive e due morte; quando la sera finisco di lavorare, divento ginnasta senza portafoglio, cantante per diletto e divoratrice patologica di serie televisive.

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