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libreria giurisprudenza

19 Feb 2019

Richiedenti asilo LGBT: quali prove portare in tribunale?

Scritto da

Secondo la Convenzione ONU Ginevra del 1951, può ottenere lo status di rifugiato chi si trovi al di fuori dal proprio paese e abbia il “giustificato timore” di essere perseguitato per “motivi di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche”. Nella definizione di “gruppo sociale” la Direttiva Qualifiche UE specifica che nella definizione resa dalla Convenzione pare rientrare anche l’orientamento sessuale. Prassi oramai accolta sia dalla giurisprudenza europea che nazionale.

Nonostante la legge italiana e UE consideri i rifugiati LGBT potenziali destinatari di protezione internazionale, serie criticità vengono in essere, sin dai primi momenti di incontro con le Commissioni territoriali incaricate di valutare le domande: spesso e volentieri, purtroppo, le Commissioni territoriali non sono adeguatamente istruite e attrezzate per affrontare i Sexual Orientation and Gender Identity claims.

 

Durante l’audizione sia avanti la Commissione Territoriale che, in caso di rigetto, davanti al Giudice, in Tribunale, oramai è prassi, vengono chiesti dettagli particolareggiati che mettono in difficoltà i richiedenti asilo.

 

E' bene rappresentare che è rarità avere delle statistiche di quanti siano i richiedenti asilo Lgbt. Si tratta ovviamente di un tema delicato che coinvolge diritti personalissimi e, in maniera trasversale, il diritto alla riservatezza. La maggioranza degli stati membri dell'Unione Europea, per altro, parrebbe non raccogliere dati sul fenomeno. Molti richiedenti asilo sono costretti a fuggire per evitare il carcere o ancor peggio la pena capitale.

Interessante sul punto è la recente sentenza della Corte d'Appello di Bologna RG n. 2347/2016, Sentenza n. 1338/2018 pubblicata il 21.5.18: analizzando succintamente la questione emerge che il Tribunale di Bologna, Giudice di prime cure, aveva riconosciuto grave pericolo per l'incolumità personale, in caso di rientro in patria, di un richiedente asilo proveniente da uno dei paesi più ostili nei confronti delle persone LGBT. Questo sia a livello legislativo sia sociale. Motivando in maniera difforme da quanto fatto dalla Commissione Territoriale, per la quale non sussistevano parametri, il Giudice concedeva la protezione umanitaria.

L'Avvocatura dello Stato riteneva di presentare appello avverso l'ordinanza. Fortunatamente, il ricorrente, nelle occasioni di colloquio avanti la CT, avanti il Giudice e con l'etnopsichiatra, si sforzava di rendere dichiarazioni particolarmente dettagliate, non contraddicendosi: la Corte d'Appello di Bologna confermava lo status di rifugiato, specificando che la credibilità delle dichiarazioni del richiedente, non suffragate da riscontri probatori, in ordine alla situazione di rischio effettivo di subire atti di persecuzione o danno grave, devono essere valutate alla luce degli indici legali di affidabilità. Le circostanze e i fatti allegati dallo straniero, non solo LGBT, qualora non suffragati da prova possono essere credibili se superano una valutazione di affidabilità fondata su criteri legali incentrati sulla verifica della buona fede soggettiva nella proposizione della domanda valutabile alla luce della sua tempestività, della completezza delle informazioni disponibili, dall'assenza di strumentalità e dalla tendenziale plausibilità logica delle dichiarazioni, valutabile non solo dal punto di vista della coerenza intrinseca ma anche sotto il profilo della corrispondenza della situazione descritta con le condizioni oggettive del paese. Si tratta di conseguenza di uno scrutinio fondato su parametri normativi tipizzati e non sostituibili che impongono una valutazione d'insieme della credibilità del cittadino straniero, fondata su un esame comparativo e complessivo degli elementi di affidabilita e di quelli critici. Il Tribunale nel caso in esame ha fatto corretta applicazione di tali principi, concedendo lo status, confermato dalla Corte d'Appello.

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Carlotta Toschi

Avvocato in Bologna, si occupa prevalentemente di diritto penale ed è cultrice di diritto europeo dell'immigrazione presso la facoltà di Giurisprudenza, università di Modena - Reggio Emilia.

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