Tali definizioni, ovviamente collegate al dettato del codice civile, che pone i genitori sullo stesso piano nell’educazione del minore, o a quello dello statuto dei lavoratori, che sottolinea l’obbligo di eguale trattamento sono ulteriormente riprese dalla giurisprudenza di merito in più forme; basti pensare alle cassazioni 8310/2006 (non esiste a favore del lavoratore subordinato un diritti soggettivo alla parità di trattamento e che, soprattutto quando il trattamento differenziato trovi il suo fondamento in un dato oggettivo di carattere temporale, l’attribuzione di un determinato beneficio ad un lavoratore non può costituire titolo per attribuire ad altro lavoratore, che si trovi nella medesima posizione, il diritto allo stesso beneficio o al risarcimento del danno), 12108/2018 (in materia di licenziamento e disparità uomo/donna), 3196/2019 (in cui si poneva l’accento sulla discriminazione derivante dal porre la medesima altezza come scriminante per un lavoro sia per uomini che per donne); eppure ciò non è mai bastato ad annullare completamente il gender gap.
Il problema discriminatorio accentuato dal Coronavirus
In queste poche parole sono tradite le promesse di uguaglianza che hanno portato alle quote rosa o alla differenza salariale del 23,7 % tra uomini e donne.
Come se non bastasse.
Ma non si tratta solo di questo, poiché, infatti, davanti a qualsiasi esigenza sociale, come quella derivante dal Covid-19, le difficoltà e le preoccupazioni prendono il sopravvento andando a creare nuovi bisogni e necessità.
Il problema della violenza femminile
Una rilevazione fatta dai centri antiviolenza D.i.Re. mostra che rispetto allo stesso periodo dello scorso anno le richieste di aiuto sono aumentate del 74,5 per cento; dal 2 marzo al 5 aprile 2020 i centri D.i.Re sono stati contattati complessivamente da 2.867 donne, di cui soltanto 806 (pari al 28%) sono donne che non si erano mai rivolte prima ai centri antiviolenza del loro territorio. Il problema di fondo in questa situazione deriva dall’impossibilità, in un momento di isolamento sociale o confinamento domestico, di poter contattare i centri antiviolenza della propria città. Anche per questo è nata l’app 1522 collegata al numero di telefono antistalking e antiviolenza del Dipartimento per le Pari Opportunità.
La prassi del sacrificio materno.
Con la chiusura delle scuole, asili nido, scuole materne e la non previsione nei decreti governativi di soluzioni per occupare il tempo di minori tra gli 0 e i 6 anni (ricordiamo a questo proposito che ad oggi non è ancora stata definita la riapertura di centri estivi per queste età) si è posta l’annosa questione derivante dalla puericultura ossia da quello che, con uno slancio di discriminazione per prassi, è il compito deputato, nella famiglia patriarcale, alla donna. Questo sacrificio, pertanto, oltre a ledere la capacità lavorativa/produttiva, va anche a de-intesificarla: nessuno può lavorare serenamente, seppur da casa in “smart working” senza una vera e propria distrazione per i propri figli.
In conclusione
Ciò che ora è necessario, a mente di chi scrive, non un'azione creativa da parte del legislatore che ha già sancito, sia a livello nazionale, che in realtà anche a livello europeo ed internazionale, il pieno principio di uguaglianza, bensì un'azione sempre più incisiva della magistratura che sia in grado di riconoscere le istanze di genere quali strumenti per sfondare il "soffitto di cristallo".
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